Coronavirus Act 2020: il ruolo del Parlamento di fronte all’emergenza sanitaria

Cosimo Serpolla

1. Premessa: la delegated legislation nel Regno Unito

L’approvazione del Coronavirus Act 2020 lo scorso venticinque marzo, in assenza di approfondito scrutinio parlamentare (appena due giorni fra il primo dibattito nella Camera dei Comuni e la sanzione regia) ha significato, come è noto, notevoli restrizioni alle libertà dei cittadini britannici. Ciò che forse è meno evidente per chi non sia familiare con un ordinamento dove molto è regolato da norme convenzionali e non esiste un documento a legittimare e contenere i poteri dello Stato è la compressione che il ruolo del Parlamento soffrirà come risultato di tale legge, a fronte di un allargamento di quello del Governo, a cui viene conferito un potere di legiferare di proporzioni insolitamente ampie.

Che il Governo eserciti anche una certa misura di potere legislativo non è una novità, né si tratta di qualcosa di sconosciuto nei regimi parlamentari; in verità non è forse legittimo aspettarsi altrimenti da un sistema del cui successo storico la chiave fu identificata nella fusione dei poteri legislativo ed esecutivo[1]. Ampio ricorso viene fatto da parte del Governo, ormai da decenni, alla cd. delegated legislation per regolamentare materie complesse, in maniera non dissimile da come avviene con i decreti legislativi in Italia, ma anche per la rapidità e flessibilità da cui una simile maniera di emanare disposizioni è caratterizzata. La grande maggioranza della delegated legislation viene posta in essere attraverso atti denominati statutory instruments (SI), regolati da un Act omonimo del 1946 e che frequentemente assumono la forma dell’Order in Council.

Ai fini dell’esame dell’evoluzione del rapporto tra Governo e Parlamento, conviene qui illustrare la possibilità di controllo parlamentare sugli SI, partendo dalla premessa che un gran numero di questi non è suscettibile di alcun controllo da parte delle Camere perché semplicemente l’Act che li autorizza non ha previsto che ve ne fosse.

Ciò nondimeno, lo Statutory Instuments Act 1946 ha stabilito alcune procedure di carattere generale fra le quali il legislatore delegante può scegliere al momento di decidere la profondità del controllo opportuna in ragione dell’oggetto e dell’ampiezza della delega.

In primo luogo si ha la cd. procedura affermativa, in quei casi in cui si è optato per un livello alto di controllo parlamentare. Questa può assumere una di tre forme: 1) una simile al decreto-legge nel nostro ordinamento, poiché si ha, da parte dell’organo competente, la promulgazione di uno SI immediatamente produttivo di effetti, i quali però cessano allo scadere di un periodo predeterminato di tempo (di solito 28 o 40 giorni) se non interviene l’approvazione esplicita dell’instrument da parte di una o di entrambe le Camere[2], ovvero 2) una presentazione di una bozza di SI a una o entrambe le Camere, le quali devono darle il loro assenso prima che l’organo competente possa procedere con la promulgazione[3], e, infine, 3) un instrument adottato e presentato da un ministro della Corona che produce effetti solo a seguito dell’approvazione del Parlamento[4].

Esiste anche una cd. procedura super-affermativa, per cui alle Camere vengono concessi 60 giorni effettivi (sarebbe a dire, senza considerare quelli in cui non sono in seduta) per analizzare e discutere una bozza di SI, scaduti i quali un ministro ne presenta la versione finale alle Camere per l’approvazione secondo procedura affermativa e, nel farlo, presenta un rapporto delle modifiche suggerite dal Parlamento e di eventuali modifiche apportate alla bozza iniziale a seguito di tali suggerimenti.

La forma più comune di controllo parlamentare sulla delegated legislation rimane comunque la cd. procedura negativa, che consiste nella possibilità di annullare uno SI tramite apposita risoluzione di una Camera, da realizzarsi entro un limite temporale fissato (in genere 40 giorni[5]). L’Act da cui lo SI trae legittimità contiene in genere la formula rituale per cui questo «shall be subject to annulment in pursuance of a resolution of either House of Parliament».

Infine esiste un numero notevole di parliamentary commitees (simili alle nostre commissioni parlamentari) volti ad assicurare la qualità della legislazione: tra questi sono degni di nota il Delegated Powers and Regulatory Reform Select Committee, comitato bipartisan[6]istituito in seno alla Camera dei Pari per segnalare qualora vi sia una delega inappropriata del potere legislativo da parte del Parlamento ovvero se l’esercizio di tale delega sia sottoposto a un livello insufficiente di controllo parlamentare, e il Joint Committee on Statutory Instruments, commissione bicamerale che svolge funzioni di controllo a posteriori sull’esercizio del potere delegato.

Prima di passare a esaminare l’Act in questione, vale la pena menzionare altri due elementi importanti attinenti alla delegated legislation  utili per la sua comprensione: il controllo giudiziario e gli Henry VIII powers (talvolta anche clauses).

Questi ultimi costituiscono un peculiare rovesciamento della gerarchia delle fonti nella concezione che ne ha il giurista continentale: si tratta di previsioni che consentono al Governo di modificare o revocare parti di un Act of Parliament, che è primary legislation, mediante secondary legislation[7]. Le potenziali problematiche derivanti da un simile potere sono immediatamente evidenti e, già in tempi non sospetti, il Delegated Powers and Regulatory Reform Select Committee raccomandò la massima cautela nel loro impiego[8], il quale è spesso oggetto di controversie.

Per quanto riguarda il controllo giudiziario, come è noto i tribunali non possono espungere dall’ordinamento primary legislation[9],in ossequio al principio della sovranità del Parlamento, ma possono dichiarare l’invalidità della secondary legislation qualora questa risulti ultra vires, quando le sue disposizioni, cioè, eccedano quanto delegato dall’Act che ne costituisce il fondamento giuridico. La dichiarazione di invalidità è altresì possibile in caso di incompatibilità con la CEDU, ai sensi dello Human Rights Act 1998, ma solo nel caso in cui la primary legislation relativa non impedisca la rimozione delle previsioni incompatibili; in caso contrario i tribunali devono limitarsi a dichiarare l’esistenza di un’incompatibilità, non potendo fare di più.

2. I poteri delegati e i controlli possibili sull’azione del Governo

Venendo dunque all’Act promulgato lo scorso venticinque marzo, saltano all’occhio subito due fattori: la sua lunghezza e complessità (102 articoli e 29 allegati) e l’eccezionale celerità dell’approvazione del disegno di legge, soprattutto in rapporto al suo volume; dall’inizio del dibattito nella Camera dei Comuni alla sanzione regia passano meno di tre giorni[10]. Benché nemmeno le commissioni parlamentari abbiano osato mettere in dubbio la necessità della procedura accelerata, è indubbio che il controllo sui contenuti del disegno di legge sia stato, e non sarebbe potuto non essere, poco approfondito.

È presente una previsione di decadenza automatica (sunset clause, nel gergo giuridico d’oltremanica)  della legge allo scadere di due anni dalla promulgazione della stessa (articolo 89), prorogabili per un massimo di ulteriori sei mesi a discrezione del Governo (articolo 90.2), il quale ha pure la facoltà di far decadere queste disposizioni anticipatamente a suo piacimento (articolo 90.1). A seguito di preoccupazioni espresse da parlamentari sia laburisti sia conservatori, il Governo ha emendato il testo originale aggiungendo l’obbligo per sé di utilizzare il potere conferitogli dall’articolo 90.1 qualora la Camera dei Comuni non approvi una risoluzione favorevole alla continuazione dello stato d’emergenza ogni sei mesi (articolo 98)[11]. Da notare è che il Partito Conservatore controlla la maggioranza assoluta nei Comuni e da esso soltanto, quindi, dipende la continuazione della delega al Governo, supponendo che tutti i parlamentari seguano la linea di partito.

La legge concede vaste deleghe all’esecutivo, inclusi Henry VIII powers[12], prevedendo assai di rado forme di controllo parlamentare. Il rapporto del Delegated Powers and Regulatory Reform Select Committee sul disegno di legge afferma che «had the country not been in the midst of a developing national emergency, there are powers in this Bill, including far-reaching Henry VIII powers, about which our commentary would have been far more trenchant and our recommendations far more robust»[13]. Nel merito la legge concede al Governo la facoltà, fra le altre cose, di sospendere le attività portuali e aeroportuali a propria discrezione per un periodo di tempo sì determinato, ma rinnovabile quante volte si voglia, senza prevedere alcun tipo di controllo parlamentare né, almeno esplicitamente, la giustiziabilità di simili decisioni (allegato 20). In particolare, sul tema delle libertà civili, viene permesso il mantenimento di cittadini nel sistema ospedaliero anche contro la loro volontà, su giudizio insindacabile del personale sanitario (allegato 21, parte 2, in particolare commi 14 ss.) e vengono pesantemente ristrette le libertà di movimento e associazione (allegato 22), anche qui in assenza di controllo parlamentare sulle singole misure. I poteri che al governo centrale sono dati con riguardo all’Inghilterra sono estesi anche ai governi decentrati di Scozia, Galles e Irlanda del Nord nei limiti delle loro competenze.

È stato fatto notare[14] come le particolari condizioni della crisi presente possano esacerbare l’impatto di simili deleghe al Governo; l’emergenza sanitaria potrebbe infatti ostacolare gli unici freni all’arbitrio dell’esecutivo: il controllo parlamentare e quello giudiziario. Benché la legge permetta un maggiore uso di supporti audiovisivi nei tribunali inferiori per portare avanti i procedimenti legali (articoli 53 ss.), non estende tali innovazioni all’Alta Corte di Giustizia, rendendo problematica una judicial review piena degli atti emanati dall’esecutivo, considerando il già sicuro rallentamento che si avrà anche ai livelli più bassi.

Ancora più problematica la questione del controllo parlamentare, visto il rischio per la salute dei parlamentari che potrebbe derivare da una riunione delle Camere. Sul punto già il diciannove marzo il Lord Speaker si spingeva ad affermare che «my advice remains that no-one should consider it is their duty to be here in present circumstances. As Parliamentarians we have a duty to show leadership and heed the clear advice of the public health experts. I would ask that everyone continues to reflect on their own situation in the light of that advice, for their own good and for the broader public interest», per quanto in una comunicazione successiva aggiungesse che si stava lavorando per consentire la partecipazione alle procedure parlamentari e alle interrogazioni per via telematica[15].

In seguito al mancato accoglimento, infine, di un emendamento avanzato nella Camera dei Pari che avrebbe inserito un obbligo di esercitare i poteri delegati nel rispetto dello Human Rights Act 1998 e dei principi di necessità, proporzionalità e non discriminazione[16], al Parlamento rimane solamente la parola di un ministro che il Governo aderirà a tali principi nella sua azione[17].

3. Osservazioni alla luce della forma di governo vigente nel Regno Unito

La quantità di potere delegata, come si è visto, è davvero notevole, soprattutto in considerazione della scarsissima possibilità di parliamentary scrutiny, sia de iure sia de facto. Non si può però negare che siano state le Camere stesse ad approvare simili misure, se pure in un clima emergenziale. In verità, per quanto importanti poteri siano stati delegati al governo al fine di permettere una risposta più pronta all’emergenza sanitaria, ci si può ragionevolmente aspettare che, se il Governo avesse deciso di agire tramite più leggi ordinarie (Acts e non SI) per ottenere di volta in volta le modifiche che desiderava alla normativa vigente, il Parlamento gli avrebbe comunque concesso tutto o quasi.

A prescindere dal clima emergenziale, che certamente aggiunge una pressione ulteriore sui parlamentari, vi sono fondamentalmente due ragioni per ciò: in primo luogo, la disciplina di partito, in genere forte nei sistemi parlamentari, lo è marcatamente nel sistema Westminster. Da quando è cessata definitivamente l’influenza della corte sui membri del Parlamento, a seguito delle progressive estensioni del suffragio fra XIX e XX secolo, dell’abolizione dei cd. rotten boroughs e del conseguente passaggio dal government by influence al government by party[18], la disciplina di partito è divenuta elemento fondamentale non solo per l’approvazione dei disegni di legge di iniziativa governativa, ma anche per la permanenza in carica di un dato Governo, il quale, di fronte alla perdita della maggioranza nella Camera dei Comuni, per convenzione ha quasi sempre dovuto scegliere fra le dimissioni e la convocazione di elezioni anticipate[19], essendo i governi di minoranza una rarità.

La seconda ragione è il sistema elettorale: la minaccia di elezioni anticipate rischierebbe di non essere molto efficace nei confronti dei parlamentari riottosi se non vigesse un sistema elettorale assai punitivo nei confronti dei non appartenenti ai due partiti maggiori. L’elezione dei parlamentari  a maggioranza relativa in circoscrizioni uninominali tende, secondo una nota teoria[20], al bipartitismo, o quantomeno, nel caso britannico, a una nettissima prevalenza di due partiti su tutti gli altri a livello nazionale: chi contrasta il gruppo dirigente di uno di questi due partiti non viene ricandidato da questo e le sue possibilità di rielezione sono assai scarse. Benché sia dunque possibile che la Camera dei Comuni non appoggi ogni proposta del Governo formato dal partito che detiene la maggioranza dei seggi, e in casi di estrema gravità ciò accade[21], la norma è che la Camera si comporti da rubber stamp dell’esecutivo; questo perché la norma è la maggioranza assoluta in capo a un solo partito.

I governi di minoranza nel Regno Unito, come detto, sono rari e tendono a funzionare male e avere vita brevissima per gli standard britannici[22], risultando un fenomeno quasi patologico in un sistema istituzionale in cui il Governo è abituato a non incontrare ostacoli alla sua azione nella Camera Bassa e è, all’atto pratico, spesso più responsabile nei confronti del partito di cui è espressione che dei suoi parlamentari[23].

Il Governo Cameron I (2010-2015), pur essendo del tutto singolare in quanto esecutivo di coalizione, godeva di un’ampia maggioranza parlamentare e poteva beneficiare del principio della responsabilità collettiva dei suoi membri, che sono pertanto tenuti a sostenere le decisioni assunte, anche se solo a maggioranza; una volta raggiunto un accordo fra i ministri (rectius, fra i due partiti della coalizione), pertanto, la Camera dei Comuni reagiva alle proposte del Governo in maniera indistinguibile da come avrebbe fatto in presenza di una maggioranza monopartitica.

In questo senso gli eventi degli ultimi due anni e mezzo vanno letti come l’eccezione alla regola e le elezioni del 2019 come un ritorno alla normalità costituzionale britannica che, con la nascita dei partiti di massa e l’allargamento del suffragio, è paradossalmente quella di un sistema in cui le ragioni del Parlamento cedono a quelle del Governo. Pochi precedenti possono trovarsi, nella moderna storia costituzionale d’oltremanica, del travaglio sofferto dal Governo May II nel tentativo di ottenere l’approvazione di un accordo sulla Brexit, con buona parte del proprio partito opposta a  una proposta radicale quale un’uscita dalla UE senza accordo e un Democratic Unionist Party[24], fondamentale per il sostegno all’esecutivo, deciso a non accettare compromessi sulla questione del confine irlandese. Da segnalare come lo Speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, si sia distinto per una difesa strenua delle prerogative del Parlamento di fronte alle pressioni del Governo volte a comprimere il ruolo della Camera da lui presieduta, arrivando, in un’occasione, a citare nientemeno che un precedente del 1604 a tal fine[25].

Con l’insediamento del Governo Johnson I  c’è stato persino il tentativo di giungere a una hard Brexit attraverso una prorogation irritualmente lunga, che non avrebbe permesso al Parlamento di agire fino a poco prima della scadenza del termine concordato con l’Unione Europea per trovare un accordo. Questo tentativo è stato vanificato dalla sentenza Miller II[26], ormai già celebre, con cui si è ribadito come i principi fondanti della Costituzione britannica, la sovranità parlamentare e la responsabilità del Governo, non possano essere sviliti impedendo alla Camera dei Comuni l’esercizio delle proprie funzioni costituzionali.

Pur non giungendo ai livelli del conflitto fra potere esecutivo e Parlamento del XVII secolo, è stato dimostrato come il Parlamento non possa venire marginalizzato dal Governo contro la propria volontà, anche senza arrivare a un voto di sfiducia. A confermare l’anomalia rispetto alla prassi degli ultimi 75 anni, per superare questo stallo sono state convocate elezioni anticipate con una legge ad hoc, l’Early Parliamentary General Election 2019, evento senza precedenti nella storia del Regno Unito; probabilmente ciò è stato fatto perché così la data dei comizi elettorali potesse essere concordata con l’opposizione e non fosse a discrezione del Primo Ministro, in accordo con le previsioni del Fixed-Term Parliaments Act 2011[27]. Col ritorno a un governo di maggioranza del Partito Conservatore, tuttavia, è di nuovo difficile distinguere la voce dei Comuni da quella del Governo.

4. Conclusioni

Al netto di quanto appena detto sul rapporto fra Governo e Parlamento nel Regno Unito, urgono delle precisazioni.

Se pure è verosimile che l’esecutivo avrebbe ottenuto l’adozione delle misure che desiderava anche passando per il normale iter legislativo volta per volta, questo non è comunque un automatismo e vi sarebbe stato di sicuro un maggior dibattito delle singole misure, pur nei tempi stretti imposti dall’emergenza. Ma forse, e soprattutto, avremmo avuto un maggior public scrutiny, un maggior controllo dell’opinione pubblica sulle normative che pure hanno un impatto significativo sulla generalità dei consociati. Anche la giustiziabilità della delegated legislation appare un freno debole di fronte all’ampiezza delle deleghe, che rende improbabile la promulgazione di misure ultra vires, e ai tempi non trascurabili che un procedimento giudiziario potrebbe richiedere durante un’emergenza sanitaria.

Non si vuole qui giudicare della necessità delle misure adottate nel Regno Unito, ma evidenziare come le modalità impiegate riducano ulteriormente il ruolo del Parlamento o, più polemicamente, delle opposizioni.

A questo riguardo, si può fare brevemente cenno a un paese che con il Regno Unito condivide tradizione giuridica, forma di governo e assenza di una Costituzione scritta, nonché il Capo di Stato: la Nuova Zelanda. In questo paese le misure adottate per fronteggiare la pandemia non sono state, nella sostanza, assai diverse da quelle britanniche, ma trovano per la maggior parte il proprio fondamento in leggi precedenti l’emergenza attuale, approvate “in tempo di pace”, quali lo Health Act 1956 e l’Epidemic Preparedness Act 2006. Ancora, e forse più rilevante, su proposta del Governo è stata istituita una commissione parlamentare al fine di sottoporre a rigido controllo l’operato del Governo in risposta all’emergenza sanitaria; cioè è particolarmente notevole se si considera che la commissione è stata formata traendo dall’opposizione la maggioranza dei suoi membri e dandone la presidenza al Leader of the Opposition, dimostrando la sicurezza dell’esecutivo nel proprio operato e la sua determinazione a difendere, anche in piena crisi, i principi della democrazia parlamentare[28].


[1] W. Bagehot, The English Constitution: Reprinted from the “Fortnightly Review.”, Londra: Chapman and Hall, 1867, pp. 12 ss.

[2] Come esempio di questa procedura si vedano, inter alia, l’Export Control Act 2002 (c 28), s 13(2) e il Bank of England Act 1998 (c 11), s 19(4).

[3] Si veda, ad esempio, l’Energy Act 2010 (c 27), ss 4 e 31, nonché, per una disposizione che richiedesse l’approvazione della sola Camera dei Comuni, il Parliamentary Standards Act 2009 (c 13), s 13.

[4] Ad esempio il Road Traffic Regulation Act 1984 (c 27), s 134(4); il Governo ha però accettato, in linea di principio, di non fare ricorso a questa terza procedura in circostanze normali, come indicato dal Second Report of the Joint Committee on Delegated Legislation, HL 204, HC 468 (1972–73) para 49.

[5] Statutory Instruments Act 1946, ss 5, 6.

[6] Inclusi i cd. cross-benchers e dei membri del Partito Liberal-Democratico.

[7] Il nome si deve al Proclamation by the Crown Act 1539 (31 Hen. 8 c. 8), anche noto come Statute of Proclamations, il quale permise a Enrico VIII di governare tramite proclami regi, cioè per decreto.

[8] Si veda il rapporto del 2002 su questo tema presso https://publications.parliament.uk/pa/ld200203/ldselect/lddelreg/21/2101.htm.

[9] L’unica eccezione storicamente prevista, l’incompatibilità col diritto UE, non pare più rilevante.

[10] Si veda: https://services.parliament.uk/Bills/2019-21/coronavirus/stages.html.

[11] Si veda l’articolo Coronavirus: MPs will review new emergency measures every six months after government relents to pressure, reperibile presso https://www.independent.co.uk/news/uk/politics/coronavirus-emergency-bill-review-boris-johnson-a9418236.html.

[12] Inter alia, il primo comma dell’articolo 91 recita: «A relevant national authority may by regulations amend or repeal any provision of this Act which modifies a provision of subordinate legislation», benché i commi successivi circoscrivano lievemente tale potere.

[13] Ninth Report of the Delegated Powers and Regulatory Reform Select Committee, HL 42 (2019-21), para 28.

[14] S. Tierney and J King, The Coronavirus Bill, U.K. Const. L. Blog (24 marzo 2020), reperibile presso https://ukconstitutionallaw.org/.

[15] Si veda https://www.parliament.uk/business/news/2020/march/lord-speaker-statement-on-covid-19/.

[16] Si veda l’emendamento 13, reperibile a https://publications.parliament.uk/pa/bills/lbill/58-01/110/5801110-I.pdf.

[17] Si veda la diretta dell’intervento parlamentare reperibile presso https://parliamentlive.tv/event/index/711dd5eb-467d-489e-9a8c-648a8b239212?in=14:41:12&out=14:42:42.

[18] Sul tema si veda, fra i molti, S.B. Chrimes, English Constitutional History, 4° ed., Londra: Oxford University Press, 1973, pp. 126 ss.

[19] Su questo punto il Fixed-Term Parliaments Act 2011 ha costituito un’innovazione non trascurabile, sottraendo al sovrano la prerogativa dello scioglimento, esercitata nella pratica in accordo con l’advice (vincolante) del Primo Ministro. Questa limitazione ha causato non pochi grattacapi al Governo negli ultimi mesi del 57esimo Parlamento (2017-19), tant’è che, a seguito selle elezioni del dicembre 2019, il governo presieduto da Boris Johnson ha annunciato la presenza, nel proprio programma, dell’abolizione di tale Act.

[20] Divenuta nota come “Legge di Duverger”, si tratta in realtà dell’osservazione di una tendenza; si veda M. Duverger, Les partis politiques, Parigi: Armand Colin, 1951.

[21] Come nel caso dell’autorizzazione all’intervento militare in Siria: si veda l’articolo Syria crisis: Cameron loses Commons vote on Syria action del 30 agosto 2013, reperibile presso https://www.bbc.com/news/uk-politics-23892783.

[22] Post-1945 si vedano il Governo Wilson III (1974), di appena sei mesi, il Governo Callaghan (1976-1979), che sopravvisse due anni alla perdita della maggioranza grazie al celebre Lib-Lab Pact, per poi terminare tragicamente con l’approvazione di una mozione di sfiducia per la prima volta dal 1924, e i Governi May II (2017-2019) e Johnson I (2019).

[23] «L’affermazione del bipolarismo politico (laburista e conservatore) della seconda metà del Novecento, che favoriva la riunione in una singola soggettività della premiership costituzionale e della leadership di partito e, di conseguenza, determinava la nascita della convenzione per cui la seconda si tramuta automaticamente, in caso di vittoria elettorale, nella prima, ha configurato un’ulteriore fase del processo di ridimensionamento dell’autonomia parlamentare» A. Torre, Il Regno Unito, in P. Carrozza (a cura di), A. Di Giovine (a cura di), G.F. Ferrari (a cura di), Diritto costituzionale comparato (Tomo I), 2° ed., Bari: Laterza, 2014, p. 23.

[24] Il partito unionista protestante dell’Irlanda del Nord, fortemente euroscettico.

[25] Si veda l’articolo Third Brexit vote must be different – Speaker, del 18 marzo 2019, reperibile presso

https://www.bbc.com/news/uk-politics-47614074.

[26] Anche nota come Miller/Cherry, formalmente R (Miller) v The Prime Minister e Cherry v Advocate General for Scotland [2019] UKSC 41.

[27] Vista anche la rilevanza delle tempistiche negli ultimi mesi precedenti la Brexit; non a caso il malcontento nei confronti delle innovazioni apportate dal FPA 2011 è diventato, col tempo, bipartisan.

[28] Sulla reazione della Nuova Zelanda alla pandemia, si veda A. Ladley, New Zealand and COVID-19: Parliamentary accountability in time of emergencies, Constitutionnet (7 aprile 2020), reperibile presso http://constitutionnet.org/news/new-zealand-and-covid-19-parliamentary-accountability-time-emergencies.

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