Sulla legge organica ungherese n. 12 del 30 marzo 2020 «sulla protezione contro il coronavirus»

di Simone Benvenuti (via sidiblog.org)

«Al fine di consentire al Governo di adottare tutte le misure di emergenza necessarie per fronteggiare la pandemia causata dal COVID–19 […], considerata in particolare la possibilità che le riunioni del Parlamento possano essere sospese per questa ragione, consapevoli della necessità di adottare decisioni responsabili in una situazione di emergenza e che il rispetto e l’osservanza, in un clima di cooperazione e disciplina, delle misure finora adottate e potenzialmente prorogabili, in apparenza restrizioni inusuali e straordinarie, possano essere la forza più importante del popolo ungherese insieme all’azione congiunta, alla cooperazione nazionale e al rafforzamento della salute e della legge, e riconoscendo inoltre il prezioso contributo di tutti i soggetti interessati, si autorizzano e definiscono i poteri del Governo per estendere lo scopo dei suoi decreti  in situazioni di emergenza […]».

Il 30 marzo, il Parlamento monocamerale ungherese (Országgyűlés, o Assemblea Nazionale) ha approvato con una maggioranza di 137 voti a favore e 53 contrari il disegno di legge organica, presentato dieci giorni prima dal Ministro della giustizia Judit Varga (qui il testo del Disegno di legge T/9790 del 20 marzo 2020, in ungherese, qui il testo in inglese), sulle «misure di emergenza necessarie per prevenire ed eliminare l’epidemia causata dall’infezione Covid-19». Per chiarire appieno la portata di questo testo, è opportuno esaminarne i contenuti e l’inquadramento costituzionale, ma anche collocarlo nel più ampio processo di riforma incrementale che l’ordinamento costituzionale ungherese ha conosciuto nell’ultima decade. Sono molti gli ordinamenti che, di fronte alla crisi sanitaria determinata dalla diffusione del Covid-19, hanno infatti subito torsioni, pur mantenendo o recuperando dopo la reazione iniziale un equilibrio istituzionale, ciò che proprio non appare realizzarsi nell’ordinamento ungherese. L’approvazione della legge dello scorso 30 marzo mostra infatti il persistente sbilanciamento in seno all’ordinamento ungherese. Questo, a seguito delle già numerose torsioni che nell’ultimo decennio ne hanno comportato lo sfibramento, sembra ormai aver perso la possibilità di recuperare l’equilibrio originario, e appare ormai oggetto facilmente plasmabile da parte di una volontà politica egemonica.

I contenuti della legge

La legge organica n. 12/2020 (qui il testo della legge in ungherese, qui il testo in italiano;) si compone di dieci articoli che contengono, come recita l’articolo 1, le disposizioni speciali da applicarsi allo stato di pericolo dichiarato con il decreto governativo 40/2020 dell’11 marzo ai sensi del primo comma dell’articolo 53 della Legge fondamentale (qui il testo in italiano; qui il testo in inglese): essa si propone di «prevenire e mitigare le conseguenze dell’epidemia che mettono a rischio la vita e i beni e [di] proteggere la salute dei cittadini ungheresi» (corsivo mio).

Nel loro insieme, tali disposizioni hanno come oggetto i poteri emergenziali che il Governo esercita per decreto (articoli 2 e 3), la predisposizione di un quadro di controllo dell’esercizio di tali poteri e la durata dei poteri emergenziali (articoli 3, 4, 5 e 8), la sospensione temporanea dei procedimenti elettorali e dei referendum(articolo 6) e la novella di alcune norme del codice penale (articolo 9).

Quanto al primo punto, è stabilito all’articolo 2 che il Governo prenda tutte le misure già previste dalla Legge n. 128 del 2011 sulla gestione delle catastrofi naturali e ulteriori misure necessarie «per assicurare la sicurezza della vita e la salute dei cittadini ungheresi, l’incolumità personale, la sicurezza dei beni e la stabilità dell’economia nazionale», inclusa la sospensione dell’efficacia di leggi e la modifica di disposizioni legislative e l’adozione di tutte le misure necessarie per la loro attuazione (comma primo). In via di principio, è stabilito che le misure prese dal Governo siano ispirate al principio di proporzionalità ai fini della gestione, prevenzione ed eliminazione della pandemia, nonché della prevenzione e mitigazione delle conseguenze dannose da essa generate (comma secondo).

Il primo comma dell’articolo 2 specifica dunque le finalità e anche la portata dell’azione emergenziale del Governo, chiarendo di questa l’ambito materiale. Tale ambito è problematicamente limitato, sotto il profilo personale, alla sicurezza e alla salute dei soli «cittadini ungheresi», con profili dunque discriminatori, ed è a sua volta esteso a tutte le misure necessarie per la stabilità dell’economia nazionale. L’emergenza è così collegata non solo ai profili sanitario-epidemiologici, ma anche alle conseguenze dei primi sulla tenuta del sistema economico. Oltre a definire in tali termini l’ambito materiale-teleologico delle misure del Governo, la legge ne delinea la portata prospettando l’eventuale efficacia legislativa delle stesse: si tratta del riferimento alla efficacia sospensiva di leggi e alla forza di legge dei decreti governativi («modifica di disposizioni legislative»). Questo riferimento sembra peraltro conforme alla lettera dell’articolo 53 secondo comma della Legge Fondamentale, per il quale «il Governo nel caso dello stato di pericolo può emanare decreti con i quali – secondo quanto previsto da una legge organica – sospendere l’applicazione di alcune leggi, o derogare a disposizioni di legge, o adottare altre misure straordinarie».

Sono anzitutto l’inquadramento della Legge organica nell’articolo 53 della Legge Fondamentale e il riferimento alla Legge n. 128 del 2011 che meritano un commento. La Legge Fondamentale ungherese contiene un’articolata disciplina speciale prevedendo cinque tipologie di situazioni di emergenza (articoli 48-54). Le prime quattro (stato d’eccezione, stato di emergenza, stato di difesa preventiva e attacco inaspettato) fanno tutte riferimento a casi di guerra attuale (dichiarata) o potenziale da parte di Stati o gruppi armati stranieri o di rivolta armata. Il quinto, lo stato di pericolo, è la fattispecie cui ha fatto ricorso il Governo nella situazione attuale. Il primo comma dell’articolo 53 della Legge Fondamentale lo disciplina nei seguenti termini: «Il Governo, nel caso di calamità naturale oppure di disastro industriale che metta in pericolo la sicurezza della vita o dei beni, nonché per evitare le conseguenze degli stessi, dichiara lo stato di pericolo e introduce misure straordinarie secondo quanto previsto da una legge organica». Come osservano Renáta Uitz e Gabor Halmai, il riferimento operato dal legislatore, nell’articolo 2 del testo in esame, alla legge 128/2011 sulla gestione delle catastrofi naturali (v. qui) si motiva proprio in ragione del fatto che l’articolo 53 della Legge Fondamentale ungherese non menziona esplicitamente l’epidemia o la pandemia come giustificazione dello stato di pericolo. Ne è derivata la scelta di recuperare un appiglio formale attraverso la legge 128, il cui articolo 44(c-bis) contiene un riferimento esplicito ai fenomeni epidemici che, attraverso un’interpretazione estensiva della nozione di calamità naturale, vengono fatti espressamente ricadere nella situazione di pericolo disciplinata dall’articolo 53 della Legge Fondamentale. Di per sé, va detto, una lettura estensiva delle disposizioni costituzionali non sarebbe tanto contestabile, di fronte all’esigenza di far fronte all’emergenza in assenza di altri strumenti giuridici efficaci. Si tratta di una difficoltà, del resto, con cui si è confrontato per certi versi anche l’ordinamento italiano, che è dovuto ricorrere alla decretazione d’urgenza ex articolo 77 della Costituzione, e poi entro tale quadro alla emanazione di DPCM successivi. Non manca però chi, come Halmai, ritiene che tutte le misure prese sino a oggi avrebbero comunque potuto essere adottate attraverso il ricorso alla legge e non alla decretazione dello stato di pericolo.

L’aspetto problematico della normativa ungherese sta però nella non chiara portata della nozione di «emergenza» (rectius: «pericolo»), che la legge, come si è visto, estende a fattori extra-epidemici che non trovano alcuna previsione specifica nel primo comma dell’articolo 53 della Legge Fondamentale né del resto nella citata Legge n. 128 del 2011: è il caso della stabilità dell’economia nazionale, sulla quale gli effetti possono logicamente estendersi ben oltre l’emergenza sanitario-epidemiologica in senso stretto. Tale problematicità è ancora più evidente alla luce del fatto che all’articolo 3 (commi primo e terzo) la legge in esame autorizza l’estensione dell’efficacia del Decreto 40/2020 e di ogni ulteriore decreto adottato prima della legge stessa, fino alla cessazione dell’emergenza. È assai dubbia qui la conformità al dettato costituzionale: segnatamente, all’articolo 53(3-4), secondo cui ogni «decreto del Governo resta in vigore per quindici giorni, a meno che il Governo – sulla base dell’autorizzazione dell’Assemblea Nazionale – non ne proroghi l’efficacia. Il decreto del Governo decade con la cessazione dello stato di pericolo». Tale disposizione prevede quindi un’autorizzazione ad hoc al Governo da parte del Parlamento, mentre la Legge organica in esame autorizza direttamente il Governo in modo preventivo e generale all’estensione dei poteri, sebbene nei soli limiti della durata dello stato di pericolo.

La problematicità di queste carenze si palesa anche alla luce di una prassi precedente. In occasione della crisi migratoria del 2015, il Governo ungherese aveva infatti fatto ricorso alla decretazione emergenziale attraverso lo strumento dello stato di emergenza disciplinato agli articoli 48 e 50 della Legge Fondamentale, utilizzabile «in caso di azioni armate tendenti a rovesciare l’ordine legale e a impadronirsi del potere o nel caso di azioni gravi, violente e armate, che minacciano la sicurezza personale o i beni patrimoniali della popolazione». In tal caso, sempre in base alla Legge fondamentale, «le misure straordinarie introdotte con decreto restano in vigore per trenta giorni, se il loro effetto non viene prorogato dall’Assemblea Nazionale – o, nel caso di suo impedimento, dalla Commissione Difesa dell’Assemblea Nazionale». A tale possibilità di proroga, il Parlamento ungherese ha sempre fatto ricorso, ripetutamente, in questi anni, prolungando lo stato di emergenza ben oltre la crisi migratoria in senso stretto. Possiamo quindi renderci ben conto del rischio di una estensione della situazione di pericolo se essenzialmente lasciata alla sola discrezionalità del Governo.

Queste carenze si integrano con quanto previsto dalle disposizioni relative da un lato ai controlli democratici e giurisdizionali dell’esercizio dei poteri di decretazione del Governo (che, in verità, l’articolo 53 della Legge Fondamentale si astiene del tutto dal prevedere, diversamente da quanto avviene per la disciplina delle altre tipologie di stati emergenziali in altre disposizioni della stessa Legge Fondamentale) e dall’altro alle procedure elettorali.

Con riguardo al controllo “democratico”, l’articolo 4 della legge impone al Governo, rispetto al controllo parlamentare, un generico obbligo di informazione regolare al Presidente del Parlamento e ai capigruppo. Questa disposizione merita due rilievi. Il primo è che si è in presenza di una forma passiva di controllo che appare soddisfatta dalla mera comunicazione delle misure. In secondo luogo, la mancata previsione di un controllo attivo del Parlamento va contestualizzata rispetto a quanto si afferma nella motivazione della legge, laddove si prospettano rischi di sospensione dell’attività parlamentare a causa dell’epidemia. Sullo sfondo è l’impatto che di fatto l’epidemia ha (avuto) sulla immediata operatività delle istituzioni parlamentari e di controllo costituzionale, questione che si pone anche in altre situazioni, come, per esempio, quella italiana, in ragione della diffusione epidemica attuale o potenziale tra i membri di tali istituzioni. Significativamente, il disegno di legge originariamente presentato in Parlamento conteneva una formulazione più aperta, laddove si imponeva al Governo di informare il Parlamento durante le sessioni parlamentari, pur senza prevedere altro al riguardo, e solo nell’ipotesi in cui il Parlamento non fosse riunito di informarne il Presidente e i capigruppo. Nel caso ungherese, la questione del controllo democratico dei poteri di emergenza del governo èpiù problematica alla luce del fatto che la legge in esame non prospetta possibili soluzioni alla operatività del Parlamento quale via maestra da seguire (soluzioni che sono state invece, pur con maggiori o minori difficoltà a seconda dei casi, elaborate in altri ordinamenti, tra cui anche quello italiano). Essa prevede inoltre, nell’articolo 5, da un lato, che «durante lo stato di emergenza il Presidente della Corte Costituzionale […] e il Segretario Generale della Corte Costituzionale dovranno garantire il funzionamento ininterrotto delle attività e il procedimento decisionale della Corte, nonché adottare le misure necessarie volte all’organizzazione amministrativa della Corte», e dall’altro che «la sessione collegiale plenaria della Corte Costituzionale e le riunioni del Consiglio possono essere garantite mediante l’utilizzo di mezzi elettronici di comunicazione, come stabilito dal Presidente, fino alla fine dello stato di emergenza». Si aggiunge anche che il presidente della Corte «può, in caso di emergenza, introdurre una deroga alle regole procedurali».

Venendo alla materia elettorale, l’articolo 6 della legge stabilisce la «cancellazione» (e non il semplice rinvio) di ogni procedura elettorale o referendaria e l’impossibilità generale di tenere elezioni «fino al giorno successivo alla fine dell’emergenza». Stante quanto sopra osservato riguardo alla generalità dei termini temporali, tali previsioni configurano una sospensione sine die del momento elettorale. Lo stesso vale per le procedure di natura referendaria, dove è però specificato che i referendumnazionali e locali dovranno essere tenuti entro quindici giorni dalla fine dell’emergenza. Va ricordato, a tal proposito, che l’istituto referendario è previsto dall’articolo 8 della Legge Fondamentale (e all’articolo 31 per quanto riguarda i referendum locali). Il contenuto dell’articolo 8, non del tutto chiaro quanto agli effetti del referendum, ne configura la natura propositiva e «vincolante» per l’Assemblea Nazionale. Tenendo a mente la prassi referendaria ungherese di questi anni – si pensi ad esempio al referendum sulle quote dei rifugiati dell’ottobre 2016 – su cui la disposizione citata si innesta, questa si presta ad accentuare il carattere fortemente manipolativo delle procedure referendarie, in ragione del brevissimo lasso di tempo intercorrente tra la fine dell’emergenza e lo svolgimento di un eventuale referendum e dunque la possibile compressione dei tempi della campagna referendaria.

Merita infine una specifica menzione l’articolo 9 della legge, sia per le sue implicazioni generali ma anche, più nello specifico, proprio con riguardo alle possibili compressioni che ne possono derivare della libertà di espressione nel quadro di campagne referendarie. Tale articolo interviene infatti anche novellando il codice penale. Esso introduce con un nuovo articolo 322/A il reato di «impedimento del controllo epidemico», in cui rientrano le condotte relative alla violazione di isolamento epidemiologico, sorveglianza, confinamento/isolamento o controllo imposti per impedire l’insorgenza o la diffusione di una malattia infettiva soggetta a un obbligo di quarantena/confinamento o comunque imposti al momento del contagio, punibile con reclusione da uno a otto anni a seconda dei casi. Di particolare rilievo, anche con riferimento ai profili sopra ricordati, è la riscrittura dell’articolo 337 del Codice penale, che prevede anch’esso nuove fattispecie criminose, punibili con una reclusione da uno a cinque anni, le quali attengono alla diffusione di «falsa rappresentazione» di fatti relativi a una minaccia pubblica capaci di determinare turbamento pubblico e che ostacolino l’efficacia delle misure adottate. Oltre alla introduzione di nuove fattispecie penali con decreto, è da segnalare come sia questionabile l’esistenza di un collegamento chiaro e diretto tra il novellato articolo 337 e le esigenze determinate dalla emergenza sanitaria.

Il contesto

Come si desume da questo rapido commento, in dieci brevi articoli il legislatore ungherese ha introdotto alcune novità rilevanti nella gestione dell’emergenza sanitaria che presentano criticità indubbie: l’ampia delega al potere di decretazione del governo senza fissazione di precisi limiti temporali né previsione di procedure di controllo democratico e giurisdizionale; la generalità del riferimento ai poteri di decretazione, senza alcuna delimitazione esplicita del campo di azione che è anzi esteso alla situazione economica nazionale e non solo alla crisi sanitario-epidemica (e qui non può sorvolarsi sull’utilizzo prolungato dello stato di emergenza in occasione della crisi migratoria, cui si è accennato sopra); collegata all’assenza di ogni delimitazione temporale dei poteri di decretazione, la sospensione (anzi, come si è detto, rectius, cancellazione) indefinitamente delle procedure che sostanziano il principio democratico-rappresentativo nel quadro di un ordinamento liberal-democratico; l’introduzione infine di fattispecie penali che non appaiono a una prima analisi giustificate da un collegamento evidente con il contrasto alla diffusione del Covid-19 (in particolare il nuovo articolo 337 del Codice penale).

Se non è certo tecnicamente corretto parlare di sospensione del Parlamento (il quale mantiene formalmente il potere di revocare le misure, e la sospensione della cui attività non è assolutamente prevista dalla legge in esame), ne esce un quadro fortemente problematico che non è in alcun modo comparabile (come si è pur voluto fare da parte di taluni esponenti politici italiani e commentatori politici) con quello che si riscontra in altri ordinamenti che, come accennato, in questa fase critica di diffusione epidemica sono stati sottoposti a torsioni (è senz’altro il caso italiano), senza però che l’ordinamento ne abbia subito una vera rottura. Se non si può parlare oggi di una vera rottura ordinamentale neppure nel caso ungherese, è però forse solo perché qui l’ordinamento ha ormai già perso ogni elasticità, in conseguenza di un’opera incrementale di riforma portata avanti negli ultimi nove anni. Sono stati anni in cui, è noto, l’ordinamento ungherese è stato sottoposto a un processo ininterrotto e a tratti volutamente contraddittorio di riforma a tutti i livelli (legislativo, organico, costituzionale, giurisprudenziale). In tale processo, sono venuti in evidenza momenti decisivi e passaggi significativi che si distinguono tra gli altri: l’approvazione della Legge Fondamentale nel 2011, il dimezzamento del numero dei parlamentari e la modifica della legislazione elettorale con effetti fortemente distorsivi della rappresentanza (ciò che ha consentito nel 2014 e nel 2018 alla maggioranza di governo di ottenere un pressoché pieno controllo del Parlamento), la neutralizzazione del sistema dei contropoteri, in particolare della giurisdizione costituzionale. Lungo questo solco si inserisce la legge approvata il 30 marzo scorso, le cui misure, che la legge stessa non esita a definire «inusuali e straordinarie», lette nel contesto ungherese ipermaggioritario/egemonico e di riforma incrementale, sollevano gravi dubbi. E le parole spese dal Presidente della Repubblica János Áder per giustificare la promulgazione della legge – ritenendo soddisfatto, tra l’altro, il carattere non indeterminato dei poteri di decretazione d’urgenza in ragione del generico collegamento con il fenomeno epidemico – non aiutano per nulla a sciogliere tali dubbi.

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