di Andrea Circolo
La diffusione della pandemia di Covid-19 pone l’Unione europea dinanzi alla più grande emergenza sanitaria, e forse alla più grande sfida, dalla sua creazione. La propagazione del virus in tutti gli Stati membri dell’Unione ha richiesto l’adozione di misure straordinarie da parte delle istituzioni nazionali ed europee. È in questo contesto che si inserisce la decisione del Parlamento europeo di dare vita alla prima e storica plenaria “virtuale”, tenutasi a Bruxelles lo scorso 26 marzo[1].
La decisione, adottata formalmente dall’Ufficio di Presidenza del Parlamento il 20 marzo[2], si fonda essenzialmente sul combinato disposto degli artt. 187, par. 1, comma 2 e 192, par. 1, che regola la possibilità, per il Presidente del Parlamento, di ricorrere in qualsiasi momento al sistema di votazione elettronica, la cui procedura è disciplinata da apposite istruzioni dell’Ufficio di presidenza.
Invero, il voto espresso tramite rete internet è una delle sottocategorie del voto elettronico (e-voting), che comprende al suo interno tutte le modalità di votazione tramite meccanismi elettronici o informatici (telefonica, online, a scansione ottica, tramite schede perforate, con registrazione elettronica diretta. etc.). Nello specifico, la votazione si è svolta tramite un modello di scheda di voto prestampato da scaricare, compilare con la propria preferenza, scansionare e inviare tramite e-mail certificata entro un orario prestabilito.
La presenza fisica nell’emiciclo, seppur a debita distanza, del Presidente del Parlamento e dei rappresentanti della Commissione, del Consiglio e dei gruppi politici ha rivestito un importante ruolo di garanzia, non solo simbolica, del regolare svolgimento dei lavori.
Sebbene il meccanismo del voto differito ingeneri, così come strutturato, non poca diffidenza, va osservato che la stessa democrazia, di cui il Parlamento risulta la maggiore espressione, sarebbe in pericolo se i lavori continuassero a svolgersi nell’aula parlamentare e allo stesso tempo alcuni deputati o addirittura interi gruppi politici non potessero partecipare alle discussioni e alle votazioni perché costretti alla quarantena. Da questa prospettiva, la votazione a distanza sembra essere un rimedio ben più convincente del voto per delega, oltre che l’unico in grado di evitare l’inesorabile chiusura del Parlamento, che metterebbe, questa sì, la democrazia a rischio.
Quel che è certo è che l’esperienza del Parlamento europeo potrà risultare istruttiva per i Parlamenti nazionali; tuttavia, al di là di qualche limitata eccezione, gli ordinamenti nazionali sembrano per il momento manifestare ancora forti resistenze interne alla votazione da remoto.
[1] Dei 705 eurodeputati previsti dal Trattato, sono 687 quelli che hanno effettivamente partecipato ai lavori da remoto. Erano invece fisicamente presenti in aula il Presidente Sassoli, il Presidente e il Vicepresidente della Commissione, Ursula von der Leyen e Maroš Šefčovič, e le rappresentanze dei gruppi politici europei: Esteban Gonzáles Pons (PPE); Javier Moreno Sánchez (S&D); Dominique Riquet (Renew); Nicolas Bay (ID); Ska Keller (Verdi/ALE); Derk Jan Eppink (ECR); Manon Aubry (GUE/NGL).
[2] Decisione dell’Ufficio di Presidenza del Parlamento europeo, del 20 marzo 2020, che integra la sua decisione del 3 maggio 2004 sulle disposizioni relative alle votazioni.